Sono circa mille le aggressioni agli operatori sanitari in un anno a livello nazionale, più altre duemila circa non denunciate. Circa il 10 per cento nella Capitale e nell’hinterland, compreso l’ospedale dei comuni di Anzio e Nettuno, in cui purtroppo non sono mancati episodi anche gravi. E poi liti, furti, anche molestie sessuali nei reparti. Dopo una serie di episodi, l’ultimo dei quali al San Camillo di Roma, la Prefettura ha deciso di monitorare la situazione. In programma c’è una ricognizione dei posti di polizia dei nosocomi romani per capire quali siano ancora operativi e prendere le opportune iniziative.
Che saranno discusse nei prossimi Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica con l’obiettivo di difendere lavoratori e pazienti. Mesi fa l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato – che l’altro ieri ha sollecitato misure come il daspo urbano per colpire i violenti in corsia – aveva chiesto proprio al prefetto Matteo Piantedosi un incontro per aumentare la sicurezza negli ospedali e ripristinare dove possibile i presidi interni fissi, che con il passare del tempo sono stati chiusi.
Un discorso che si ripresenta ciclicamente dopo ogni assalto a un pronto soccorso: se n’era già parlato tre anni fa, durante un Comitato provinciale, ma fino a oggi poco è cambiato e anche il posto di Polizia dell’Ospedale Riunita era ed è rimasto chiuso. Al San Camillo, ad esempio, sono dovuti intervenire i militari dell’Arma, analoghe situazioni nelle settimane scorse a Tivoli, Civitavecchia e Anzio con la polizia chiamata dalla direzione degli ospedali e dai vigilantes. Eppure gli uffici coordinati dai commissariati di zona sono rimasti in molti casi a disposizione della Questura. Negli anni scorsi alcune organizzazioni sindacali di categoria avevano criticato la razionalizzazione degli uffici, che aveva portato anche alla chiusura di alcuni commissariati periferici. Ma ora forse, con le aggressioni in corsia sempre più numerose, si pensa di poter tornare indietro.