Il Conclave che si aprirà entro il 10 maggio si preannuncia come uno dei più aperti e imprevedibili degli ultimi pontificati. Nonostante l’impronta lasciata da Papa Francesco in dodici anni di governo della Chiesa, la partita per l’elezione del suo successore resta tutt’altro che scontata.
Il Pontefice argentino ha rivoluzionato il Collegio cardinalizio, nominando oltre l’80% dei 135 elettori. Ha dato spazio a vescovi dalle periferie geografiche e sociali, riducendo il peso delle grandi diocesi europee e curiali. Ha spinto per una Chiesa più globale, dove Africa, Asia e America Latina contano di più: i cardinali di queste regioni sono ormai oltre la metà del totale. E i Paesi rappresentati in Sistina sono passati da 48 a 71.
Ma nonostante questa svolta, il corpo elettorale non è un blocco unico. Francesco ha nominato personalità molto diverse tra loro: progressisti e conservatori, figure dialoganti e altre ancorate alla tradizione, esponenti del Sud globale e del mondo occidentale. Alcuni sembravano in sintonia con il suo stile pastorale, ma si sono poi mossi su posizioni più fredde rispetto alla sua spinta riformatrice.
A complicare il quadro, il fatto che i cardinali si conoscano poco tra loro. Bergoglio ha convocato poche assemblee plenarie, e solo negli ultimi due anni — con il doppio Sinodo — una parte del Collegio ha avuto occasione di incontrarsi, discutere, costruire relazioni. Non tutti, però, hanno partecipato: gli ultraconservatori in larga parte ne sono rimasti fuori.
I papabili
In questo contesto, emergono diversi nomi. In area italiana, tre i profili più citati: Pietro Parolin, Segretario di Stato, diplomatico esperto e uomo di equilibrio; Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, vicino alla Comunità di Sant’Egidio; e Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, con un forte bagaglio internazionale.
Ma il prossimo Papa potrebbe benissimo non essere italiano, come accade da quasi mezzo secolo. Tra i ‘papabili’ che operano a Roma spiccano Luis Antonio Tagle, filippino, volto noto della Curia con forte carisma globale, e Mario Grech, maltese, figura chiave nel percorso sinodale. C’è anche chi guarda al salesiano spagnolo Angel Fernandez Artime, o all’americano Robert Prevost, vescovo missionario con radici in America Latina.
Altri nomi arrivano da diocesi lontane dai riflettori: Jean-Marc Aveline, da Marsiglia; Cristobal Lopez Romero, da Rabat; Anders Arborelius, dalla Svezia. I conservatori puntano sull’ungherese Peter Erdo, noto per il profilo dottrinale saldo. E c’è chi spera in una svolta africana con Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, figura forte e ascoltata anche in ambito internazionale.
Il futuro Papa potrebbe arrivare da qui. Oppure da un nome che oggi non compare nelle cronache. Perché la Chiesa, anche nei momenti più delicati, ha spesso scelto figure inattese. Stavolta, più che un leader carismatico, si cerca un pontefice capace di tenere insieme un mondo cattolico in forte trasformazione.
Il profilo ideale? Meno ideologico, più capace di ascoltare. Un costruttore di sintesi, prima ancora che un innovatore. – Fonte Agenzia Dire www.dire.it –