Il nuovo clima cancella la neve: dobbiamo imparare a vivere senza?

Alpi e Appennini senza neve. La diminuzione è del 50% rispetto a 100 ani fa, le piste sono al 90% innevate con quella artificiale

Meno neve ‘vera’ e più ‘finta’ (artificiale). Ma soprattutto meno neve. Lo ‘dice’ anche un albero-sentinella delle montagne: il ginepro comune (Juniperus communis L.) arbusto che cresce lentamente, e benché longevo -spesso pluricentenario- sopra i 2.000 metri in montagna si sviluppa per pochi decimetri da terra con portamento strisciante a causa di vento, gelo, neve. E di conseguenza viene facilmente sepolto fin dalle prime nevicate autunnali. Più la neve si mantiene a lungo, meno l’arbusto compie fotosintesi e cresce. Viceversa, meno neve cade, più l’arbusto cresce, “ed è quello che sta succedendo sulle montagne”, avvisa Legambiente. È solo l’ulteriore conferma del fatto che Alpi e Appennini si imbiancano sempre meno a causa della crisi climatica: “Il manto nevoso è sempre più effimero”. Soffrono soprattutto le Alpi: studi recenti dicono che c’è un mese in meno rispetto al passato con la presenza di neve per colpa dell’aumento del riscaldamento atmosferico di circa due gradi.

In questi giorni a Bologna si ricorda l”anniversario’ della nevicata del 1985: c’era la gente con gli sci per strada… Ma l’attualità è più d’impatto: la quantità di neve è diminuita del 50% rispetto a 100 anni fa e un innevamento affidabile sotto i 2.000 metri è meno garantito. L’anno scorso, in pieno inverno, ci sono state piste da sci di fondo rimaste ‘verdi’ e rifugi che a primavera erano irraggiungibili a piedi per la neve caduta in abbondanza fuori stagione. Ma neanche quelle nevicate tardive hanno portato i benefici sperati, dice Legambiente in vista della giornata mondiale della neve, che cade domenica 19 gennaio. Tra chi tocca con mano in montagna e chi studia il fenomeno (come la Fondazione Cima), il responso non cambia: c’è meno neve ad alta quota ma anche a valle. E così si ricorre a quella ‘sparata’.

In Italia il 90% delle piste è innevato artificialmente

L’Italia, stando alle ultime stime disponibili, è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente. Ma per Legambiente non è detto che questa sia la ‘pista’ giusta da seguire: con la mancanza di neve si deve fare i conti senza ‘scorciatoie’, serve “una maggiore presa di coscienza e confronto da parte delle località alpine e appenniniche sulla diminuzione delle nevicate e sugli effetti della crisi climatica. “Occorre ‘vivere’ la montagna d’inverno in modo più sostenibile senza rincorrere la neve“, occorre “investire su un’offerta turistica invernale montana che punti su un turismo slow e dolce celebrando la bellezza della neve naturale con sobrietà e con mezzi altrettanto naturali”. Senza dimenticare “politiche e strategie di mitigazione e di adattamento a livello nazionale e territoriale”. È uno studio pubblicato a dicembre 2024 sull’International Journal of Climatology, condotto da ricercatori dell’Università di Trento e dell’Eurac Research di Bolzano, sulle Alpi italiane a dire la quantità di neve è diminuita del 50% rispetto a 100 anni fa.

In 100 anni la neve è calata del 34%

In particolare, tra il 1920 e il 2020, la neve è calata del 34%, con differenze marcate tra le Alpi settentrionali e quelle sudoccidentali: rispettivamente -23% e quasi -50%. Conferme analoghe provengono da uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Nature Climate Change che ha rivelato come il manto nevoso nelle Alpi centrali non sia mai stato così effimero negli ultimi seicento anni. Inoltre, nell’ultimo secolo, la durata della neve si è accorciata in media di un mese perché il riscaldamento atmosferico è salito di circa due gradi; dato a cui i ricercatori sono arrivati studiando appunto il ginepro. Ma anche i fiumi ‘assetati’ confermano che manca la neve.

I problemi di acqua e le ripercussioni

Stando a dati della Fondazione Cima, Po e Adige sette giorni fa avevano un deficit idrico del 61% di neve, misurato in termini di equivalente idrico nivale. Sugli Appennini, nonostante le abbondanti nevicate, il caldo scioglie la neve e questo crea “forti squilibri nei corsi d’acqua“: Legambiente indica l’esempio del Tevere, che ha registrato un passaggio da un deficit del 24% a dicembre a un impressionante -88% a gennaio. Sono ben più dei due indizi che fanno una prova. A causa del riscaldamento globale, dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, “stiamo assistendo a una riduzione costante e senza precedenti del manto nevoso. Oggi non vedere il cambiamento in atto e non modificare di conseguenza abitudini e modalità di fruizione degli ambienti montani nei mesi invernali, crea ripercussioni destinate ad impattare su ambiente ed economie locali. Per questo è fondamentale una maggiore presa di coscienza di quanto sta accadendo in alta quota ma anche a valle“. Si ascoltino gli esperti, si scriva una road map europea, per affrontare questa situazione; e, ad esempio, per proteggere “importanti e fragili ecosistemi, insieme ai ghiacciai”. Poca neve e ghiacciai rimpiccioliti significano molta meno acqua per tantissima gente, specie nelle stagioni calde, dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di Cipra Italia: le catene montuose sono le “torri d’acqua del mondo”. Una riduzione persistente della quantità e della durata della neve “produrrà probabilmente effetti profondi sugli ecosistemi, con gravi ripercussioni a cascata sul benessere umano e sulla fruibilità della montagna. Questo aspetto non può più essere ignorato nella pianificazione politica della gestione delle risorse idriche, con una particolare attenzione alle Alpi come agli Appennini”, aggiunge infine Bonardo. – Fonte Agenzia Dire www.dire.it –

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