Da “bello e ben fatto”, o bbf, a “bello ben fatto e sostenibile”. Un processo possibile per l’industria della moda in Italia, nonostante a livello globale il comparto sia il secondo più inquinante al mondo. Di questa evoluzione in una delle ramificazioni più note del “Made in Italy” si è parlato a una masterclass online organizzata dall’università Luiss Guido Carli con l’associazione Le Reseau nell’ambito dell’iniziativa Programma diaspore.
Le nuove regole contro le sostanze chimiche
Uno dei nodi più critici della giornata lo affronta Carlo Fei, professore di Practice di Luxury and Fashion Management presso la Luiss Business School. “Il settore della moda è il secondo più inquinante al mondo, solo per realizzare una semplice t-shirt si impiegano circa 2700 litri d’acqua, la quantità che un essere umano beve in media in 900 giorni”, premette il docente, che poi interroga: “Come può allora il settore declinare il concetto di sostenibilità, passando dall’essere ‘bbf’, come è famoso nel mondo, a bbf e sostenibile?”. È sempre Fei a rispondere: “La Camera nazionale della moda italiana si è dotata negli ultimi anni di una serie di regole molto severe per quanto riguarda l’utilizzo di sostanze chimiche; norme ancora più stringenti di quelle stabilite dal regolamento Reach dell’Unione Europea che i suoi associati sono tenuti a rispettare”.
La svolta nel settore della conceria
Un indicatore che qualcosa sta cambiando verrebbe da un settore fra quelli che in assoluto creano maggiori danni all’ambiente: la conceria, il trattamento delle pelli, uno dei punti di forza del Made in Italy il cui bacino di produzione si concentra in modo particolare in alcuni distretti dell’italia centrale, come evidenzia una cartina mostrata dal professore. “Si sta andando verso una produzione di pellame a zero piombo”, dice Fei, “e già adesso in Italia si impiega l’un per cento del piombo utilizzato nel resto del mondo per trattare la pelle”.
Evolvere del resto è un elemento distintivo del Made in Italy, ricorda l’esperto, “e il ‘know how’ di chi anima questo comparto permette di passare dall’intuizione all’innovazione, dalla passione alla conoscenza, dalla creatività alla soluzione”. Processi spesso lunghi, che definiscono il nostro modello produttivo e che non a caso ci hanno reso i migliori al mondo, insieme alla Francia, nella produzione degli articoli di lusso. Il tempo è infatti una delle componenti fondamentali di questo mondo, come spiega Alberto Festa, direttore commerciale Watch and Jewelry di Dolce&Gabbana e professore di Marketing vendite e comunicazione presso la Luiss.
“La differenza fra lusso e fashion si colloca nella dimensione del tempo” dice l’esperto: “Per emergere in questo primo settore ne serve molto ma soprattutto serve aver costruito un eredità, un patrimonio, che necessariamente richiede anni e anni. Nel mondo della moda invece, con una buona idea, si può arrivare a un livello rilevante anche in un paio di stagioni”.
C’è poi una dialettica che caratterizza l’universo del lusso, ovvero quella fra esclusività e accessibilità. “Sicuramente il secondo elemento non deve eccedere ma in realtà neanche il primo” sottolinea Festa: “L’ideale è trovare un equilibrio”. Il professore continua: “In questo senso un esempio perfetto lo offre il marchio Hermes, uno dei più esclusivi in assoluto. Questa stessa casa produce una borsa intarsiata con 1160 diamanti in oro rosa da 18 carati che può arrivare a costare 1,5 milioni di euro e poi distribuisce in negozi a basso prezzo un profumo da 30 euro, del tutto originale”. – Fonte www.dire.it –