Almeno due colpi d’arma da fuoco esplosi, da una distanza di circa 19 metri e da un revolver, indirizzati ad Omar Haoudi, principale avversario dei Toson nelle risse avvenute il 28 e 29 gennaio e culminate nell’agguato della sera del 30 gennaio, al “Girone”, nel quale ha perso la vita Thomas Bricca. Gli inquirenti confermano l’ipotesi trapelata sin dai primi momenti dopo il delitto: si è trattato di uno scambio di persona. Quei colpi mortali non erano per il 19enne deceduto poi al San Camillo di Roma dove era arrivato in condizioni disperate con una ferita che gli aveva trapassato il capo.
Questa mattina, a seguito di un blitz dei Carabinieri, che hanno dato esecuzione all’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa dal Giudice per le indagini preliminari, il Dott. Bracaglia Morante, sono scattate le manette ai polsi di Roberto Toson, 47 anni e di suo figlio Mattia, 21. Entrambi sono ora in carcere perché “in concorso tra loro cagionavano la morte di Thomas Bricca…Con le circostanze aggravanti di aver agito per futili motivi e con premeditazione per rappresaglia rispetto alle risse che vedevano il gruppo dei Toson contrapposto a quello di Haoudi”. A Roberto Toson è contestata anche la circostanza aggravante di aver commesso il fatto essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di 2 anni. “Omicidio volontario pluriaggravato e premeditato in concorso”, questa l’imputazione provvisoria a carico di padre e figlio. 917 le pagine dell’informativa riepilogativa contenente l’esito delle indagini preliminari condotte dal Reparto Operativo – Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Frosinone. 295, invece, le pagine dell’ordinanza del Gip.
Le risse precedenti al delitto
Sabato 28 gennaio la prima rissa nel centro storico tra i due gruppi rivali per il “predominio del territorio”. Oggetto del contendere “il controllo delle attività illecite relative alle piazze di spaccio”, questo stando alle testimonianze emerse nel corso degli interrogatori. Domenica 29 un nuovo episodio di violenza, protagonisti Mattia Toson, suo fratello Niccolò ed altri amici; dall’altra parte i giovani extracomunitari, molti dei quali egiziani, con in testa Omar Haoudi. Proprio qui si consuma quello che viene considerato dai Toson “l’affronto da vendicare”. Francesco Dell’Uomo, fratellastro di Roberto Toson, nella colluttazione, riporta la frattura di un calcagno. Un “affronto” troppo “grave” per restare impunito. In questo contesto, stando all’ordinanza, “sarebbe maturata la vendetta dei Toson che avrebbe portato, la sera successiva, lunedì 30 gennaio, all’agguato a colpi di pistola”. Roberto Toson, che per gli investigatori era alla guida del T-Max scuro con in sella Mattia, avrebbe raggiunto il largo di via Liberio. Entrambi indossavano caschi integrali, scuro quello del primo, chiaro quello del secondo. Lo scooter si è fermato in direzione della scalinata sulla quale sostavano Omar e i suoi amici, tra i quali Thomas. Mattia – sempre stando alle ricostruzioni investigative – avrebbe estratto il revolver aprendo il fuoco. Nessun proiettile ha centrato Haoudi. Uno ha invece raggiunto Thomas, che aveva un giubbotto bianco come quello dell’amico. In pochi istanti il 19enne si è accasciato a terra. I sicari sono fuggiti. Poi le grida disperate di aiuto, la chiamata ai soccorsi e la corsa in ospedale.
Le immagini delle telecamere di videosorveglianza immortalano l’arrivo e la fuga dello scooter, fornendo anche dettagli utili all’identificazione del T-Max e degli occupanti. I sospetti e le testimonianze, sin dalle ore successive, si sono concentrati sui Toson. Vano il tentativo di “depistaggio” messo in piedi da Roberto e Mattia che, nella serata del 1 febbraio, a poche ore dalla dichiarazione clinica del decesso di Thomas, si presentarono nella Caserma dei Carabinieri di Alatri, accompagnati dal loro legale, Angelo Testa, “per rendere spontanee dichiarazioni e in qualche modo scagionarsi da accuse che ancora non erano state in alcun modo rivolte loro dagli inquirenti, ottenendo così l’effetto opposto di attirare su loro stessi l’attenzione del PM”. Dunque, “Excusatio non petita, accusatio manifesta”.
L’alibi che non regge e le testimonianze chiave della fidanzata di Mattia
Proprio in quella circostanza, davanti ai Carabinieri, Mattia fornì il suo alibi: a suo dire la sera del delitto era alla festa di compleanno del figlio di Bruno Spada, Romeo, in un agriturismo di Veroli. “Siamo andati a cena intorno alle 20.30, con la macchina della mia fidanzata e siamo andati via verso mezzanotte”. Circostanza questa confermata ma dell’alibi non reggerebbe soprattutto la ricostruzione fornita dal giovane circa le ore precedenti all’omicidio. Una ricostruzione che è stata “sconfessata” anche da persone vicinissime alla sua famiglia, tra questi proprio Bruno Spada. Inoltre, Mattia non avrebbe mai fatto ritorno a casa per cambiarsi prima della festa, poiché – secondo i riscontri – al compleanno è arrivato con gli stessi abiti che indossava la mattina.
“Sebbene lo sviluppo delle indagini sconti ritardi ed omissioni investigative iniziali (francamente evitabili) – scrive il GIP – si ritiene che il compendio che faticosamente è stato in seguito raccolto, consenta di pervenire all’accoglimento della richiesta cautelare dell’accusa, in quanto appare convincente, solido ed univoco il quadro indiziario nei confronti nei confronti dei due attuali indagati”. Fondamentali sono state, come si legge nella stessa ordinanza, le testimonianze della fidanzata di Mattia. La stessa, a seguito di un messaggio nel quale “Mattia le diceva di controllare bene sotto lo sterzo della sua vettura temendo ci fossero delle cimici”, aveva invece pensato che Mattia si riferisse alla pistola usata per l’omicidio. Spaventata – come emerso dalle intercettazioni – avrebbe deciso di abbandonare le iniziali remore, raccontando dettagli rilevanti prima ai Carabinieri e poi al PM. La ragazza avrebbe parlato della “detenzione da parte di Mattia di un casco integrale analogo a quello indossato dal passeggero dello scooter, cioè colui che aveva esploso il colpo fatale” e, inoltre, la testimone chiave avrebbe parlato di “pregressa disponibilità in capo a Mattia di un revolver compatibile con l’arma dell’omicidio”.
Un castello di bugie, quello che secondo il Gip era stato messo in piedi dai Toson e dai loro “fedelissimi”, nonni di Mattia compresi, crollato quando l’ex fidanzata del 21enne ha deciso di parlare, “ricostruendo nel dettaglio un’ampia serie di particolari di estrema importanza”.
La richiesta cautelare
Il Gip, nell’ordinanza conclude che: “Sussiste nella specie anche il concreto ed attuale pericolo, in relazione alle modalità e circostanze del fatto ed alla personalità degli indagati, di reiterazione della condotta criminosa, con la commissione di altri gravi delitti con l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale. Consta quindi l’esigenza cautelare specialpreventiva di cui all’art. 274 comma 1 lett. c) c.p.p.”. E ancora evidenzia che: “si procede per omicidio volontario pluriaggravato e quindi per uno dei gravi reati in ordine ai quali sussistendo esigenze cautelari, è applicata la custodia in carcere…“.
L’avvocato Marilena Colagiacomo annuncia “battaglia per la verità”
“Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato. – Commenta l’avvocato Marilena Colagiacomo, legale del padre di Thomas, Paolo Bricca, intercettata all’uscita dal tribunale – Era solo questione di tempo. L’esecuzione di questa ordinanza rappresenta certamente solo un primo passo verso quella giustizia che la famiglia ed il paese chiede e cerca. Siamo consapevoli che ci aspetta un lungo cammino e che i difensori degli indagati daranno battaglia, indubbiamente ricorrendo anche al tribunale del riesame. Ma noi siamo assolutamente pronti ad affrontare il processo”. Tra qualche giorno sono previsti gli interrogatori di Garanzia.